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Poesia che verrà dall’inferno della contemporaneità

>> l’angolo della poesia

La poesia non è qualcosa di astratto e distaccato dal quotidiano, dall’esperienza quotidiana nasce e trae ispirazione per creare una visione spesso divergente del mondo e delle cose, può dirsi tale solo se giunge oltre il livello pre-esistente, solo in tal modo può illuminare e indicare smascherando gli inganni e le crepe del presente per anticipare il sentiero futuro, condurre alle verità celate e profonde della condizione umana e muovere l’inconscio collettivo come musica in risonanza. Essere in poesia è dar voce a chi o a cosa non ha avuto voce, come nel mito della tartaruga di Ermes. I Poeti, quando tali, sono come delle vedette, o come delle bussole sentono la direzione del battito del tempo, di certo sensibili alle emozioni della gente, tentano di trasformare con la loro arte l’insensatezza del dolore in testimonianza per poi seminare il terreno futuro della gioia che verrà. La situazione attuale credo sia lontanissima ma nello stesso tempo simile al nostro dopoguerra, vinto il virus, bisogna ricostruire il mondo che amiamo e affidarci un po’ di più alla poesia dell’istinto di vita, in fondo i poeti, come scriveva P. Shelley, sono i “non riconosciuti legislatori del mondo”. A tal proposito credo che la più atroce blasfemia italiana del Novecento sia stata l’assassinio di Pasolini; in ogni società civile, infatti, c’è una regola non scritta: i poeti non si uccidono! Da quel punto esatto, da quel 2 novembre 1975, è iniziata l’involuzione culturale nel nostro paese verso il baratro odierno. E i poeti rimasti? Silenzio. Paura. Hanno giocato a nascondino. Come mai? Con Pasolini sono morti tutti i poeti e uomini eroici? Son rimasti solo i compilatori di libri da salotto? Purtroppo l’Italia non vanta una tradizione di Cuordileone: dove sono gli Esenin e i Majakovskij italiani? Dove sono stati se ci sono mai stati? Forse hanno banchettato anche loro con il potere sulle ceneri di Pier Paolo nella speranza di raggiungere la sua notorietà? O nella speranza di prendere il suo posto senza rischiare alcun posto? Molti si sono appartati per parlare con quel che resta della Natura in maniera autistica? Perché non hanno levato al cielo il loro grido di dolore e di dissenso? Possibile che solo il grande giullare Rino Gaetano è stato l’unico a cantare per tutti? Qualcuno, forse gli unici poeti, i Mitomodernisti, hanno continuato a loro modo a combattere per la Bellezza creando eventi simbolici per decenni per una rinascita delle coscienze, molti li hanno presi per folli. Ebbene, Pier Paolo Pasolini ne “La religione del mio tempo” riteneva l’Italia una nazione priva di un destino altro e possibile, fuori dalla cronostoria, tanto da preferire il rifugiarsi in un eterno passato alla ricerca di una madre o matrice originaria verso cui attingere nuova linfa o alla ricerca di fratelli che non sono più, come Guido, da abbracciare, alla ricerca dunque di una famiglia spirituale da riesumare dalle stratificazioni della Storia individuale e collettiva per essere consolato. Ed è nel vagare nelle periferie di Roma come nelle periferie dell’anima, in quel vagare in folle solitudine il suo ritrovarsi, in quell’essere arcaico e silvano, desideroso di una pura infanzia terrestre. 

Io sono una forza del Passato.

Solo nella tradizione è il mio amore.

Vengo dai ruderi, dalle Chiese,

dalle pale d’altare, dai borghi dimenticati

sugli Appennini o le Prealpi,

dove sono vissuti i fratelli.

Giro per la Tuscolana come un pazzo,

per l’Appia come un cane senza padrone, 

o guardo i crepuscoli, le mattine su Roma,

sulla Ciociarìa, sul Mondo

come i primi atti della Dopostoria,

cui io sussisto, per privilegio d’anagrafe,

dall’orlo estremo di qualche età sepolta.

Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta.

E io , feto adulto, mi aggiro più moderno di ogni moderno

A cercare i fratelli che non sono più.”

(da “Poesia in forma di rosa”, 1964)

L’Italia di oggi che già allora Pasolini vedeva distrutta esattamente come nel 1945 si è ulteriormente involuta. Anzi certamente la distruzione è ancora più grave perché non ci troviamo solo davanti a macerie di materia, non solo il nostro inestimabile patrimonio è in degrado, ma assistiamo a macerie di uomini e di valori umani. Pasolini, testimone implacabile della corruzione e dell’alienazione pre-virtuale ricorda: “Non temere la sacralità e i sentimenti di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in bruti e stupidi automi adoratori di feticci.” Già è come se questo tempo avesse rubato agli uomini ogni dimensione sacrale-mitica, ogni radice o ramo crescente di futuro, ogni grande sentimento rinchiudendo l’individuo nella solitudine abominevole di fittizi alienanti rapporti virtuali di superficie in cui non ci si guarda più negli occhi. Ma che tipo di “uomo” vuole il misero potere? Non vuole un buon cittadino onesto, un coscienzioso e scrupoloso elettore, o un critico lettore del proprio tempo. Non vuole un uomo etico, previdente, illuminato, non lo vuole né tradizionalista nè religioso né mai sia rivoluzionario. Al posto del vecchio o antico tipo d’uomo, il potere vuole solo un consumatore. Come può il potere trasformare il vecchio uomo in un consumatore? Mediante quel processo che si chiama acculturazione: cioè riducendo e appiattendo tutti gli altri valori e le altre culture non omogenee ai modelli di una cultura centrale, cioè di una cultura del potere vigente e dunque sottomessa e funzionale a esso. L’obiettivo, secondo l’analisi pasoliniana, era quello di trasformare gli uomini in conformisti e consumatori, azzerandoli da ogni possibile umanità e grandezza, cosa che è accaduta certamente.  E proprio attraverso questo appiattimento  servile e questo terrorismo psicologico perpetrato attraverso l’annuncio mediatico massiccio più o meno subdolo del crollo imminente del precario esistere e del precariato vitale o attraverso la trasformazione di ogni esistenza da indeterminata a sempre più determinata ossia definibile, precaria, smontabile, modulare, vivisezionabile che sopraggiunge la paura della fine e l’uomo incatenato alla miseria che verrà rimane in silenzio e da integro moralmente diviene corruttibile e più facilmente colluso e corrotto. Ma la corruzione non discende solo dall’alto dei piani del potere ma risale dal basso in rapporto dialogico, anzi spesso è resa possibile proprio grazie al popolo che ignora la storia, i grandi ideali e preferisce utilizzare scorciatoie utilitaristiche, non riconoscendo spesso e disprezzando il valore personale dell’altro da sè e vedendo la grande cultura o il vero genio come una minaccia. E ahimè è doloroso ammettere che proprio soprattutto quella tipologia proletaria e prerurale di uomo allo stato di natura pasoliniano portatore forse allora di una certa purezza spontanea, oggi è più fragile e rappresenta una grande porzione di quell’elettorato acritico e corruttibile ipnotizzato con slogan di piacere consumistico e tenuto a bada con bollettini di guerra da disastro imminente o da cronaca nera, bastone e carota, come in un ludismo demagogico antico da Circo Massimo della teleperversione, ridurre l’uomo a consumatore pagante e spettatore inerte e consenziente del suo vedersi vivere senza una visione del mondo, senza capacità autocritica  o desiderio di crescita culturale. E questo discorso ahimè vale per l’uomo attuale come per la sua espressione più alta che è l’Arte: la poesia, la musica, la letteratura, la pittura che non ne sono certo esenti. Nell’attualità, nell’anno della pandemia, tutto questo viene ancora più amplificato fino all’ennesima potenza. Due forze muovono più di altre il mondo e queste sono l’amore e la paura. Quest’ultima è la vera regina di questo tempo minore, in questo dopoguerra dell’essere dove la paura diventa presto terrore: terrore di vivere, terrore di amare, terrore di concepire persino un presente di speranza dove possa abitare non giammai il virus, ma il primo sano germe del futuro. Agli artisti e ai poeti tocca abolire quella paura atavica e bestiale del non essere che è la modalità di arruolamento dell’Impero del Brutto, e dar voce alle forze vive esistenti attraverso una rivoluzione copernicana della Bellezza vivente e trasformante. E se Pasolini in quel contesto fu un poeta civile e l’esteta di una italia “malata” commise tuttavia l’errore di rifiutare la possibilità di una Italia in grado di lottare per l’altezza e per la Bellezza, un’Italia eroica al di fuori di ogni connotazione divisionale, una Italia altra che può essere riconquistata, rifondata e riunificata mediante la scoperta e l’estrazione della sua anima più anticamente futura, l’anima dell’immortale Bellezza, mediante l’azione di uomini liberi o liberati, accomunati da un progetto storico-simbolico senza padroni ma avente una heimat, una patria esistenziale itinerante, ontologica e fondativa. Urge superare mediante un ponte di intenti la palude stagnante della paura e dell’immobilità odierna, urge un movimento tra movi-menti, coraggioso e aperto al confronto dialogico e pensante con le generazioni che verranno per il futuro della Bellezza condivisa. E’ bastato un microrganismo invisibile per mettere in ginocchio le potenze economiche mondiali, urge ripensare la vita fuori dai parametri dell’economia, il mondo capitale è crollato, le leggi dei grandi numeri hanno fallito perché gli uomini non sono dei numeri, non sono dei prodotti, urge una visione più etica e umana della vita, il Coronavirus nel suo dramma ci ha insegnato che la ricchezza dell’avere non conta se non ci si può abbracciare, se non ci si può più amare, se come affermava Socrate l’uomo è un animale sociale, se all’uomo togli la presenza di una società in cui camminare, resta di quell’uomo socratico solo l’animale! Urge pertanto proseguire oggi come non mai il moto di ri-evoluzione spirituale e civile. Urge creare una poetica viva dell’uomo vivo. Urge un progetto mondiale di Bellezza, non una idiozia per “anima belle”, ma un percorso collettivo e condiviso che conduca ad una qualità della vita per il benessere di ogni individuo, un percorso per la Polis che non fomenti le differenze, che non innalzi muri ma doni la flessibilità del pensiero, che valorizzi le analogie tra gli esseri e abbatta i muri dell’odio per creare dei ponti invincibili che elevino la condizione umana.  La Bellezza nel corso del tempo ha sprigionato solo una parte del tutto ma non l’intero, la totalità dell’uomo è ancora inespressa e l’intero, come per l’anatomia o per l’astronomia, è sempre ben di più della somma delle singole parti. Solo la vertigine maestosa del sublime svela la Bellezza della verità umana dell’essere. Il futuro è l’avvenire che apre la via all’esistenza della bellezza del sublime nel mondo, la vera Bellezza. La verità dell’io originario umano erge la bellezza del sublime sulle vette della fantasia e dell’immaginazione nel presente dove il primo germe del futuro si fa largo nell’aprire spazi immensi mai conosciuti e creati.  Perché senza la bellezza del sublime l’uomo resta inchiodato nel baratro infernale per sempre.

*Gianpaolo G. Mastropasqua, poeta, psichiatra