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Siamo in un mare di… plastica

I miei coetanei ricorderanno il comico Gino Bramieri che in “Carosello” faceva pubblicità al “moplen” chiudendo la scenetta con l’espressione “E mo’ e mo’? Moplen!”, mostrando l’oggetto in plastica equivalente a quello in vetro o ceramica rottosi. 

Il “moplen”, marchio registrato di una materia plastica ottenuta dal polipropilene, fu inventato negli anni cinquanta dal chimico Giulio Natta, premio Nobel per la chimica per tale invenzione.

Tale materiale è ancora oggi una delle materie plastiche più utilizzate presente, sotto forma di oggetti di uso comune, nelle nostre case, ma purtroppo non solo lì!

Abbiamo tutti negli occhi le immagini delle isole di plastica, formate da grandissime quantità di rifiuti che, una volta finiti in mare, per mezzo delle correnti si concentrano in un’unica zona. In esse sono soprattutto evidenti le cosiddette macroplastiche. Vengono definite “isole” per l’altissima densità di rifiuti che conferise loro la forma e l’estensione di una vera e propria isola. Cito solo la più grande, quella situata nell’Oceano Pacifico (circa 1,6 milioni di km² e 80.000 tonnellate di rifiuti). Di tali “isole” nel mondo ce ne sono altre cinque. Ciò accade perchè la plastica non è biodegradabile; la vita media delle bottiglie di uso alimentare, ad esempio, è stimata a ben 1000 anni. 

Ormai siamo, o dovremmo essere, tutti consapevoli dei danni che le macroplastiche arrecano alla fauna marina. Mammiferi marini, tartarughe e uccelli muoiono, a centinaia di migliaia ogni anno, perché hanno ingoiato oggetti in plastica scambiati per cibo o perché restano impigliati nelle reti da pesca e annegano.

L’80% della plastica rinvenuta in mare proviene da fonti terrestri. Del resto, un attento osservatore, dai rifiuti accumulatisi sulla costa, può individuare le attività che insistono nello specchio acqueo antistante. Se abbondano le retine tubolari e le funi, ci sarà un impianto di acquacoltura; bicchieri, buste di merendine e patatine fritte, e giocattolini vari indicano la presenza di bagnanti incivili, e così via.

E qui entriamo in gioco anche noi poichè il comportamento individuale è fondamentale. Non abbandonare i rifiuti nell’ambiente non dovrebbe neanche essere raccomandato tanto esso è ovvio! Ma ancora più importante è la raccolta differenziata che permette il riciclo delle materie plastiche, grazie al quale esse vengono trasformate in materia prima usata per produrre altri manufatti. Ad esempio, le bottiglie di plastica possono essere riciclate, anche se al massimo cinque volte; vetro e metalli possono essere riciclati all’infinito. D’altro canto, la sostituzione della plastica, che ha il vantaggio della leggerezza, con i materiali tradizionali come vetro, metalli, legno, comporterebbe un costo ambientale ed energetico tra le quattro e le sette volte superiore, a causa dei costi di trasporto.  E allora come fare? Usare contenitori di vetro quando possibile, ad esempio per l’approvvigionamento di acqua da bere, acquistare prodotti imballati in materiale compostabile e prodotti sfusi per usare più volte gli stessi contenitori, usare sportine di cotone. In poche parole, evitare i prodotti usa e getta.

Per coloro cresciuti come me nell’ “età della plastica”, si tratta di un radicale cambio di mentalità, non facile, scomodo e tuttavia inevitabile. Sotto l’azione degli agenti atmosferici, infatti, gli oggetti di plastica si frammentano in parti sempre più piccole, dando origine alle famigerate micro e nanoplastiche. Ma questa è un’altra storia.

*Ester Cecere, biologa marina, poetessa