Si chiamava “esaurimento nervoso”
Ora, nel terzo millennio, si chiama, stress, ansia, angoscia, depressione, fobia, panico, disturbo ossessivo-compulsivo ed altri disturbi comportamentali associati. Il Covid-19, piccolo virus, ma grande orco dell’umanità, sfuggente, invisibile all’occhio umano, sconosciuto, facilmente trasmissibile, scatena le paure più profonde, per cui, gestire ansia, paura ed isolamento sociale è un problema per tutto il Paese, divenuto piuttosto ipocondriaco; per inciso, l’ipocondria è l’eccessiva preoccupazione per le proprie condizioni di salute, accompagnata da disturbi fisici e stati di angoscia e depressione. Dopo una fase di iniziale disorientamento, ove un’intera generazione è stata falcidiata e la distanza tra ricchezza e povertà è aumentata, offuscando simboli culturali, riti religiosi e tradizioni, si rende necessario passare a una riorganizzazione della quotidianità, per tutti indistintamente. In particolare per i malati, per i sanitari, per i nonni, per i disoccupati, per coloro i quali hanno dovuto abbassare le serrande durante questa interminabile emergenza (colpisce l’ampiezza del danno economico che ha toccato le famiglie, oltre al danno fisico e psicologico). Mi soffermo un attimo solo sull’ansia, che destabilizza milioni di persone le quali brancolano nel buio senza punti di riferimento, poiché “Del doman non v’è certezza…”.
L’ansia, quando è contenuta in certi limiti, è positiva, produce un effetto di ottimizzazione delle prestazioni; una limitata dose di ansia/paura, crea allerta ed è necessaria per potersi attivare senza perdere lucidità. L’ansia, quindi, è un’esperienza umana universale che in condizioni normali costituisce una reazione di difesa correlata con l’istinto di conservazione, volta ad anticipare la percezione del pericolo, prima che questo sia chiaramente identificato. E’ accompagnata da un aumento della vigilanza e dell’attivazione di meccanismi fisiologici, tra i quali: aumento della frequenza cardiaca, del respiro e del tono muscolare, che predispongono l’organismo alla difesa o all’attacco. Quando questo meccanismo fisiologico è mal regolato, l’ansia diviene una risposta sproporzionata e assume la connotazione di un vero disturbo mentale. Percepire l’ansia come fisiologica, ben venga, ma se non riusciamo a gestirla vivendo il Coronavirus, come un pericoloso predatore inarrestabile, sono guai. Ritornando alla diagnosi di “esaurimento nervoso”, a dire il vero, era molto in voga diversi anni fa, quando sotto questa etichetta venivano raggruppati stati protratti di tensione o forme depressive, oppure semplici momenti di svogliatezza.
Col passare del tempo il termine “esaurimento nervoso” è scomparso dal linguaggio degli specialisti, perché privo di qualsiasi scientificità. Le cellule nervose, infatti, non possono “esaurirsi”, così come questo non può avvenire al sistema nervoso nel suo complesso. La definizione di “esaurimento nervoso”, comunque, continua ad essere presente nel linguaggio comune. L’ansia può assumere tante forme, presentarsi in momenti diversi della vita, durare pochi minuti o prolungarsi fino a diventare una compagna “sgradita”, ma quasi sempre presente. A seconda delle caratteristiche che assume, l’ansia ha nomi diversi, il più recente sistema diagnostico psichiatrico internazionale, messo a punto dall’American Psychiatric Association, indica ben nove diversi tipi di disturbi ansiosi, per ognuno dei quali esiste un dettagliato elenco di sintomi. Oggi, purtroppo, si aggiunge anche l’ansia da Covid-19, accompagnata da un arricchimento del vocabolario; il Coronavirus ha “infettato” anche la lingua italiana con esagerati anglicismi: ansia ermetica da incomprensione…
*Sergio Camellini, psicologo