La letteratura femminile e il rapporto con il canone letterario
Da anni la delicata questione del canone letterario spinge molti studiosi alla ricerca di una definizione precisa di esso. Ma il focus fondamentale dell’ultimo secolo è come e se la letteratura femminile si inserisce in questo continuo dibattito, a volte rivendicando la sua inclusione, altre chiedendo un distacco totale dal canone letterario.
Il canone definisce i diversi modi di rappresentazione, le poetiche collettive epocali dell’esistenza, l’estetica, l’etica, ciò che è desiderabile ed elegante, ciò che non lo è, ciò che è politicamente corretto, ciò che non lo è. Il canone, infine, è l’elenco di quegli autori, quelle opere, i classici, considerati i modelli estetici di una determinata tradizione, con i quali ogni nuovo autore colloquia, che imita, con cui si misura.
Ma allora come possiamo includere la letteratura femminile all’interno di un canone letterario per anni dominato principalmente da un pensiero maschile e maschilista?
Vediamo dunque nel dettaglio il pensiero di due studiose contemporanee, riassumendo e analizzando approfonditamente il loro punto di vista.
Adriana Chemello, la prima delle due scrittrici scelte, sentenzia subito il suo discorso affermando come anche la “tradizione femminile” possa entrare a far parte della canonicità, qualora le donne d’oggi avranno la determinazione di diffondere la “consuetudine della libertà” a tante lettrici contemporanee. Tale dichiarazione comporta pertanto un confronto con l’annosa questione del canone letterario, sia per aspirare ad una inclusione di figure finora considerate non canoniche, sia per ampliarne i confini istituzionali. Per quanto riguarda quest’ultima affermazione il discorso è più complesso: ipotizzando su una possibile estensione del canone che includa anche le donne, la Chemello riprende il saggio di Harold Bloom, Il canone occidentale, avvertendo un punto di incontro con il discorso da lei intrapreso laddove lo scrittore introduce la categoria di «Canone quale sistema mnemonico» della «memoria letteraria». Pertanto per far si che la memoria storica delle donne sia in grado di costruire tale “teatro mnemonico”, la letteratura femminile deve essere letta e studiata in un contesto libero e, piuttosto che continuare a discutere le aggiunte da apportare al canone, la Chemello propone di rivedere i paradigmi di ricerca e i programmi istituzionali della disciplina.
Dunque compito delle donne è quello di costruire una tradizione di studi della letteratura femminile e contemporaneamente trovare i mezzi e le modalità affinché questa tradizione si affermi e venga diffusa. Fondamentale sarà la formazione di “buone lettrici” attraverso la ricerca, la didattica e l’editoria. Quest’ultime eviteranno quel silenzio legato all’assenza di ricezione che per secoli ha impedito la lettura e la conoscenza delle opere femminili, esercitando quindi una mediazione salvifica e modificando infine il canone letterario.
La seconda scrittrice è Alessandra Riccio, la quale, contrariamente ad Adriana Chemello, prende le distanze dal canone letterario. Partendo dalla ormai nota marginalità della donna nei secoli, essa fa notare come nel XIX secolo il vizio del concetto di “Democrazia”, secondo cui allo spirito organizzatore e classificatore, omogeneizzante e totalizzatore dell’Occidente potesse aspirare solo l’uomo, viene messo in crisi grazie al dibattito che le donne hanno aperto partendo dalla constatazione della loro marginalità. La democrazia non può basarsi sull’omogeneità dei soggetti, ma deve fondarsi sulla diversità e sulle differenze di genere e di razza che scardinano la fissità del canone dell’umano. L’uomo dunque ha sempre fissato le norme, i termini delle relazioni umane compresi i limiti al pensiero e alla parola delle donne. Pertanto – prosegue la Riccio – era compito della donna proporre nella pratica un nuovo modo di pensare, ovvero ragionare da diversi punti di vista per evitare di incorrere, a causa dell’omogeneità e della rigida identità, in quel terribile difetto che è l’esclusione.
Alessandra Riccio dunque prende le distanze dal rigore del canone e afferma «di preferire il rischio del vuoto e del caos a un ordine conservatore, obsoleto, riduttivo e insostenibile per analizzare e riorganizzare una realtà altra». In conclusione per la scrittrice il canone non è altro che una regola che impone ad ogni cosa il suo uso appropriato e come tale non merita la dignità accademica assegnatagli fino ad ora, essendo uno strumento di esclusione e dissimulatore di verità. Per essa il suo lavoro contro il canone non è altro che una battaglia culturale basata sulla convinzione che esso non è né un fatto concreto né un fatto transtorico, ma il risultato di una visione del mondo parziale ed escludente.
Entrambe le scrittrici, partendo dalla premessa della marginalità della donna nei secoli, auspicano ad una sua partecipazione più attiva soprattutto nella vita culturale e letteraria, affinché possa essa crearsi il suo spazio, la sua indipendenza ma allo stesso tempo possa farsi conoscere e rendersi nota, come l’uomo ha fatto nel corso dei secoli. Sperano pertanto in una libertà culturale della donna, con la differenza però che per la Chemello questa si concretizzi nell’integrazione della “tradizione femminile” nel recinto della canonicità, mentre per la Riccio attraverso il rifiuto del canone e imparando a pensare senza di esso, nonostante sia «operazione intellettuale rischiosa e meritoria».
Entrambe inseguono un unico obiettivo, ossia l’inserimento della donna e della sua letteratura all’interno di un contesto strettamente europeo e maschilista, ma il modo in cui giungono a tale conclusione è chiaramente diverso. Pertanto è proprio per quest’ultima affermazione che torna difficile riuscire a capire quando possiamo parlare di canone letterario e soprattutto come e se includere la letteratura femminile, dal momento che la differenza di pensiero in ognuno, uomo o donna che sia, spingerà sempre verso un “credo” differente e soprattutto personale, lasciando dunque aperto e accesso il dibattito intorno al canone letterario.
*Gaia Lammardo, giornalista