La memoria giocosa
Un diorama interculturale vivo, per imparare, giocando, a far sopravvivere i bambini e non solo.
Quando fui invitato a visitare, con amici comuni, “la Memoria Giocosa” mi accingevo a scoprire solo un museo di antichi giocattoli e documenti, nella cornice del quartiere Pigneto di Roma, così idealizzante e idealizzato da sempre. Ero pronto a imbattermi in un’originalissima e preziosa collezione di oggetti, conservati per oltre mezzo secolo da Lisa Billig e da suo marito Franco Palmieri – ambedue giornalisti e scrittori – che, a loro volta, avevano raccolto l’eredità di questa collezione dalla famiglia paterna di Lisa Billig, risalente alla prima metà dell’800. Il museo privato, realizzato nel 1999 da un lascito di famiglia dei proprietari Lisa, Eva Ruth e Daniele Billig Hoenigsberg è stato allestito – ed è a tuttoggi curato – da Franco e Lisa Palmieri-Billig, con mezzi propri.
Si tratta di una collezione di giocattoli e giochi frutto del lavoro di tre cugini ebrei, di Vienna e Praga, perfettamente integrati nella Germania pre-nazista, che – parafrasando Carlo Levi – ancora oggi pulsano come i tre cuori di quell’inedito, unico e magnifico stargate che è la Memoria Giocosa. Pochi sanno che i principali produttori di giocattoli furono ebrei tedeschi, in particolare di Norimberga, utilizzando materiali residui dalla lavorazione dei metalli, fino a lavorare la latta che per la sua facile duttilità consentiva di plasmare forme garantendo leggerezza e resistenza: una buona prassi di riciclo e riutilizzo nel segno della sostenibilità, molto prima dell’avvento delle (illusioni) della plastica…
Un museo “didattico culturale”, tiene moltissimo ad evidenziare Franco Palmieri che cura personalmente l’accoglienza e l’organizzazione didattica, perché “la Memoria Giocosa” non è un museo solo espositivo ma un contesto interattivo in presenza, in cui – attraverso la narrazione sui giocattoli, testimoni privilegiati – si imparano fatti, valori e storie di esistenze intere, patrimonio dell’Europa del Novecento, ri-generando le condizioni della creatività!
La Memoria Giocosa, quindi, è uno dei predicati più felici ed efficaci della teoria del fanciullino di Giovanni Pascoli e – contemporaneamente – un insegnamento sulla storia della Rivoluzione Industriale, quella animata dai cavalli vapore estratti dall’acqua bollente che oggi dobbiamo riconsiderare – per i rischi di desertificazione da climate change – nel senso di dover imparare, presto e bene, ad estrarre acqua dall’aria…
E pensare che le (almeno) due ore di visita non prevedono neanche il costo di un biglietto ma solo l’indicazione che è gradita un’offerta volontaria e la possibilità di organizzare eventi e feste negli spazi del museo: un cenacolo di dialogo ed accoglienza in cui istituzioni e operatori culturali sono i benvenuti, soprattutto per organizzare percorsi – anche individualizzati per gruppi classe – sussidiari alle programmazioni scolastiche.
Appena giunto, sulla soglia dell’ingresso mi raggiunse un particolare profumo – ben impregnato nei luoghi – un’essenza delicata, come fosse cera volatile: forse un balsamo di accudimento diffuso, per proteggere i colori pastello dei giochi e la fragile latta di tutti quei giocattoli che stavano per venirmi incontro.
Sì perché nella Memoria Giocosa i giocattoli sembrano animarsi e bullicare come Gremlims – nella migliore tradizione Disney – con una gran voglia di avvicinarsi, loro a te: curiosi dei visitatori, per conoscere chi siano i nuovi ospiti del Museo e cosa si possa comunicare loro nel pensiero, divertendosi ad accoglierli e a stupirli ogni volta di più.
Questo Museo è – in realtà – un diorama di paesaggi epocali, un’autentica “porta” nella dimensione del tempo e dello spazio: davvero uno stargate che, non solo tra varie epoche – da metà ‘800 agli anni Sessanta nel ‘900 – ma anche rispetto ai vari stati di coscienza che ciascun essere umano attraversa (dall’infanzia all’età adulta, dalla fantasia della giovinezza alla disillusione nella senescenza) introduce i visitatori in un’esperienza originalissima e di straordinaria potenza umanistica, nell’universo simbolico-subliminale del gioco, come dimensione di dialogo interculturale e intergenerazionale.
Il tutto è consentito grazie all’evocazione di figure, luoghi, materiali, colori, oggetti industriali in cui ogni gioco o giocattolo racconta, con la propria storia, i vissuti di coloro che l’hanno progettato, costruito, accudito e messo in salvo dalla distruzione.
Quasi che il Museo fosse pervaso da spiriti, folletti o entità immortali: epiche, perchè salvando questi giocattoli non si sono solo messi in salvo “oggetti” ma sono traslati – attraverso l’indicibile violenza nazista e delle ricorrenti sortite antisemite – significati identitari di vita in cui l’intera umanità – senza vincoli di colori, fedi, etnie, appartenenze – può raccogliersi. Visitare la Memoria Giocosa è un’esperienza di profondo rebirthing grazie alla celebrazione dell’infanzia come tempio di un’identità collettiva fantastica e fondativa di quella di ogni essere umano: una sorta di placenta ludica dell’inconscio collettivo che consente anche alle persone più inaridite di saggiare l’originario dell’innocenza (nella fantasia infantile) rispetto al decaduto delle (apparenti) certezze relativiste e disilluse cui la cosiddetta età “adulta” consegna il vissuto di chi si rassegni a tanto.
E proprio testimoniando la volontà di non rassegnarsi mai, neanche di fronte all’improvviso imperare del relativismo etico e alla bruttura delle leggi razziali, gli autori di questi giochi, i tre cugini eccellenti artigiani (che lavoravano il legno e, poi, la latta così duttile e riutilizzabile), fuggirono in USA negli anni Trenta, esuli, per trovare scampo dal Nazismo. E fu lì, per buona sorte, che incontrarono altre famiglie che avevano già avviato altre straordinarie produzioni di giocattoli. La più nota, quella di Joshua Lionel Cowen – nato nel 1877, prima della luce elettrica di Edison! – che con la sua ditta “Lionel” fu tra i primi costruttori di trenini giocattolo elettrici negli Stati Uniti. Quando la sua famiglia immigrata arrivò a New York dopo la guerra civile, le ferrovie rappresentavano letteralmente i motori del progresso americano: le linee Union Pacific e Central Pacific nel 1869 unificarono il continente, segnando la nascita di una potenza mondiale. Cowen è, infatti, cresciuto con treni veri, in mezzo a cambiamenti vertiginosi e nel periodo in cui fondò “Lionel” nel 1900, le linee passeggeri come l’impareggiabile Twentieth Century Limited, simboleggiavano già la tecnologia e la raffinatezza americane. In realtà questa “memoria giocosa” – che di museale ha solo l’infinita cura di un allestimento “vivo”, pensato per far davvero percepire il gioco con cui questo oggetti sono stati animati dal sogno di tanti bambini – ha molto più da offrire e comunicare ai visitatori rispetto alle ampie e luminose infrastrutture del bel loft in cui i beni sono custoditi in un’atmosfera d’arredi borghesi, librerie, un salotto e un piccolo teatro.
Entrando, si viene ospitati dalla gentilezza autorevole di Franco Palmieri: autorevole perché ogni sua attenzione narrativa e gestuale comunica quanto e quale sia l’oggettivo valore storico e affettivo dei giochi e dei giocattoli che si accinge a presentarci con una bonomia da nonno di tutti i bambini del mondo.
E, soprattutto, perché – come Palmieri ama ricordare – “Davanti ai giocattoli tutti i bambini sono uguali”!
Franco Palmieri è come un Virgilio, lo spirito guida, un vero e proprio sherpa la cui creatività narrativa è affettivamente trasformativa rispetto a tutto ciò di cui parla e, cui, parlandone, restituisce vita e relazione col presente. Ascoltandolo per qualche minuto ci si rende conto di cosa volesse dire Albert Bandura, quando scriveva di apprendimento osservativo e cognitivismo sociale.
Trenini elettrici, macchinine, soldatini, marionette, aerei, navi, giostre e addirittura un dirigibile sembrano letteralmente animarsi!
E così, via via, il Museo fatto di oggetti si dissolve e ogni gioco o giocattolo comincia ad animarsi, rianimato dal racconto di storie di vite umane che Franco Palmieri offre in occasione di ogni visita.
“Vite in gioco”, appunto, protagoniste dell’omonimo libro scritto a quattro mani tra Lisa Billig e Franco Palmieri (Edizioni ARES 2019): dalla Shtetl Mitteleuropea alla Lower East Side di Manhattan, storie di uomini che costruivano giocattoli per raccontare il mondo.
Educando all’affettività, una vista alla Memoria Giocosa è davvero esperienza di educazione alla vita rispettando la fragilità e l’onnipotenza della fantasia dei bambini cui nulla deve essere negato, attraverso giocattoli ideati – in buona parte – in un’epoca in cui ai bambini ebrei la stessa esistenza in vita veniva negata.
Come il bambino e lo specchio di Melanie Klein – in cui il bambino, cercando se stesso non trova altro che lo specchio e cercando lo specchio non incontra altro che se stesso – mi auguro che davvero l’esperienza personale di recarsi in questo museo e percepire “Memoria giocosa” possa essere vissuta da quante più persone possibile come esperienza di quanto il genere umano sia stato capace di comunicare amore per la vita, persino negli anni delle più atroci pagine in cui l’umanità ha bestemmiato se stessa.
Solo al termine della visita, infine, ho scoperto …un altro percorso da esplorare: quello nell’Archivio Fotografico Billig che raccoglie scatti d’autore da tutto il mondo, dagli anni Trenta agli anni Settanta: un anfratto di immagini, rare e raffinatissime pagine di vita – preziose non solo per chi le abbia vissute – che irradiano tanta umanità, tanta coscienza critica vissuta nella consapevole responsabilità di fissare, fotograficamente, i volti di un mondo – anche interiore – che l’efferatezza del nazismo nella II guerra mondiale avrebbe dilaniato e che, ancora oggi, è braccato dall’odio antisemita. Sono felice e onorato di ringraziare Lisa Billig e Franco Palmieri per quanto mi hanno concesso di scoprire e percepire vivo, grazie al loro impegno nell’accudire significati così importanti, per oltre mezzo secolo. Un’esperienza da vivere e consigliare, per voi e per gli amici: www.lamemoriagiocosa.it
*Federico Gentilini, avvocato