Antigone, la tragedia del compromesso
Legge etica o legge dello stato? Rispetto delle prescrizioni divine o di quelle umane?
Onorare la morte del proprio fratello o salvarsi la vita?
E ancora, cedere di fronte ad una donna o contravvenire al volere degli dei? Far valere l’affetto per i propri cari o mantenere saldo il potere politico?
Questi i dilemmi che si trovano ad affrontare i personaggi dell’Antigone di Sofocle. Quesiti sostanziali, d’importanza addirittura vitale, per l’appunto. Domande alle quali non si può sfuggire, lacerazioni che non lasciano scampo, situazioni in cui una via d’uscita indolore pare irraggiungibile. L’unica possibilità è il compromesso, ma chi è costretto ad una scelta di questo tipo sa già in partenza che dovrà rinunciare a qualcosa: resta solo da decidere a cosa.
Ultimo atto del ciclo di drammi ispirati alla saga dei Labdacidi, Antigone narra, insieme a Edipo re e Edipo a Colono, le drammatiche sorti del re di Tebe Edipo e della sua discendenza.
Esiliato dal fratello Eteocle, Polinice attacca Tebe con un potente esercito, causando uno scontro in cui entrambi perderanno la vita, uccidendosi vicendevolmente, e alla fine del quale Tebe risulterà vittoriosa. Creonte, nuovo sovrano della città, decreta che Eteocle sarà sepolto come richiedono i riti, mentre il corpo di Polinice, nemico della patria, dovrà essere lasciato insepolto, alla mercé di cani e uccelli. Chi contravverrà a queste disposizioni sarà punito con la morte.
L’Antigone si apre con un colloquio tra la protagonista, da cui la tragedia prende il nome, e la sorella Ismene: Antigone dichiara di essere disposta a sacrificare la propria vita pur di dare degna sepoltura al fratello Polinice, mentre Ismene è troppo timorosa per aiutarla.
Antigone provvede, dunque, da sola e si lascia arrestare dalle guardie, che la conducono al cospetto del sovrano, il quale la condanna a morte.
Emone, figlio di Creonte e promesso sposo di Antigone, interviene allora cercando di far ragionare il padre e di convincerlo che la ragazza sia nel giusto, essendo piuttosto lo stesso re ad avere torto.
Il colloquio degenera in una lite ed Emone si allontana, mentre Creonte fa rinchiudere Antigone in una grotta affinché vi attenda la morte. L’indovino Tiresia predice allora sciagure se Creonte non provvederà alla sepoltura di Polinice. Il sovrano lo deride e non vuole cedere, ma dopo le insistenze del coro dei cittadini, che gli ricordano Tiresia non aver mai sbagliato una profezia, si arrende e a malincuore provvede ai riti funebri per Polinice. A questo punto si reca a liberare Antigone, ma nella caverna trova Emone che piange il corpo della fanciulla, impiccatasi, prima di togliersi a sua volta la vita trafiggendosi con la spada. Disperato, Creonte torna in città, ma qui lo attendono altre brutte notizie: anche la sua sposa Euridice, venuta a sapere della morte del figlio, si è uccisa.
Tragedia assoluta, i cui i protagonisti paiono non avere scampo, qualsiasi scelta essi compiano, ma in cui sono altrettanto consapevoli e convinti delle strade che intraprendono.
Fiera e coraggiosa si mostra Antigone, allorché decide di onorare la legge divina ed etica, anteponendo a tutto una degna sepoltura per il sangue del suo sangue, anche a scapito della propria vita.
Eroica appare, discutendo con Ismene “[…] bella, se l’opera avrò compiuta, mi parrà la morte. […] d’un pio misfatto rea: piacere più lungo tempo a quelli di laggiù debbo, che a quelli che qui sono […]”1, e altrettanto ferma di fronte a Creonte, ribadendo il proprio dovere di obbedire alle leggi divine “[…] violarle e renderne ragione ai Numi, non potevo io, per timore d’alcun superbo. […]”2.
Antigone sceglie il suo compromesso, salda nell’idea di ciò che è giusto, pronta a subirne le conseguenze.
Ma anche Ismene, a ben vedere, si piega ad un compromesso, seppur decisamente meno intrepido: quello, rovesciato rispetto al compromesso della sorella, di soffocare il proprio desiderio di onorare la morte del fratello Polinice, pur di non contravvenire alla legge positiva “[…]ai morti chiedo perdono, poi che son costretta, ed ai potenti obbedirò: ché ardire oltre le proprie forze è cosa stolta […]”3.
Cambia la scala di valori cui le sorelle decidono di rimanere fedeli, resta lo strazio di una scelta che dovrà necessariamente sottrarre qualcosa a chi la compie.
Per ultimo, neppure Creonte, con tutto il suo potere, può sfuggire all’impietosa legge del compromesso. Cocciuto sino a mostrarsi stolto, incaponito nei suoi propositi e convinto del proprio buon senso “[…] se i parenti miei vivere io lascio senza più freno, che faran gli estranei? […]”4, è costretto infine a fare un passo indietro “[…] Faccio forza al cuor mio, m’induco all’opera: sconvien contro il destino un’ardua pugna. […]”5. Troppo tardi, tuttavia, giunge la saggia decisione: dovrà scontare le conseguenze della propria presunzione.
Il compromesso, nella tragedia come nella vita, è a volte indispensabile: meglio comprenderlo subito e non opporvisi.
Il compromesso non è soltanto opzione pavida, incoerente o opportunistica, può essere una scelta di coraggio e di coscienza.
*Monica Siclari, dott.ssa in comunicazione per l’impresa, i media e le organizzazioni complesse, scrittrice
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Note:
1, 2, 3, 4, 5, Antigone, Sofocle, traduzione di Ettore Romagnoli