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“Dinamiche culturali sull’origine del comportamento aggressivo”

Principali approcci psicopedagogici alla spiegazione del comportamento aggressivo

Sigmund Freud curava le nevrosi delle sue pazienti viennesi, Lorenz si è fatto una fama con lo studio degli uccelli ed entrambi avevano la convinzione che gli esseri umani abbiano un’energia aggressiva, che deve essere periodicamente scaricata se non vogliamo che esploda nella violenza. 

Secondo J.B.Scott, studioso del comportamento animale e professore di università, tutti i nostri dati presenti indicano che il comportamento di lotta fra i mammiferi superiori, compreso l’uomo, origina da stimolazioni esterne e che non vi è nessuna prova di stimolazione interna spontanea.

Sono molte le persone, culture intere, che se la cavano benissimo senza comportarsi in maniera aggressiva.

 La teoria sull’aggressività umana prevede anche che la libera espressione di energia aggressiva renda gli individui meno violenti (modello idraulico di violenza): è l’effetto catartico, secondo il termine usato da Aristotele.

Le ricerche hanno semmai dimostrato che gli individui tendono a diventare più violenti dopo aver assistito a passatempi di tipo cruento.

“La partecipazione a giochi aggressivi rafforza l’inclinazione alle reazioni aggressive “ conclude lo psicologo Berkowitz (Dichiarazione di Siviglia).

Nel 1986 un gruppo di eminenti studiosi del comportamento si è incontrato a Siviglia per discutere sulle radici dell’aggressione nell’uomo giungendo alla conclusione che non solo il “modello idraulico della violenza è inesatto”, ma più in generale non ha nessun fondamento scientifico la credenza che gli esseri umani siano per natura aggressivi e bellicosi.

Ma tale credenza non è facile da scuotere.

Fra le argomentazioni che ci capita spesso di ascoltare ci sono ad esempio queste: gli animali sono aggressivi e gli esseri umani non possono sfuggire al retaggio degli antenati evoluzionistici; la storia umana è dominata da resoconti di guerre e crudeltà; certe aree cerebrali e particolari ormoni sono legati all’aggressività dimostrando il fondamento biologico di tale comportamento.

La prima cosa da rilevare a proposito degli animali è che bisogna andare cauti a ricavarne per spiegare il comportamento umano, data la forza mediatrice della cultura e della capacità umana alla riflessione.

“La nostra parentela con gli animali non significa che, se il loro comportamento sembra spesso influenzato dagli istinti, ciò debba valere anche per gli esseri umani “ afferma l’antropologo A.Montagu, il quale cita “ Non ci sono più ragioni per credere che l’uomo faccia la guerra perché i pesci o le cince difendono il territorio che per pensare che l’uomo voli perché i pipistrelli hanno le ali”

Passando a considerare la storia umana troviamo, in effetti, una quantità allarmante di comportamenti aggressivi, ma nessuna ragione che il problema sia innato.

Ecco alcuni punti messi in rilievo dai critici del determinismo biologico:

1) Anche se un comportamento è universale non possiamo concludere automaticamente che sia parte del nostro corredo biologico.

Può darsi che tutte le culture producano stoviglie di terracotta, ma ciò non significa che esista un gene per l’arte della terracotta.

2) L’aggressione, in ogni caso, non è, affatto, universale. Montagu ha curato un libro, Learning non Aggression, nel quale sono presentate descrizioni di varie culture pacifiche.

Scriveva E.Fromm “ Gli uomini più primitivi sono i meno bellicosi, la bellicosità cresce in proporzione alla civilizzazione”.

Nell’arco di pochi secoli la Svezia, da una società fieramente guerresca, si è trasformata in una delle meno violente fra le nazioni industrializzate.

“La storia si scrive e si insegna in termini di fatti violenti, scandendo il tempo con le guerre”, fa notare lo psicologo Goldstein; sembra essere una questione di selettività nei resoconti “dopoguerra” e “anteguerra”.

Lo psicofisiologo Kennet E. Mojer, dopo aver descritto dettagliatamente i meccanismi di ormoni e della stimolazione di certe aree cerebrali legati all’aggressione, insiste sul fatto che il comportamento aggressivo è sempre legato ad uno stimolo esterno.

“E’ così importante il ruolo dell’ambiente che parlare di una tendenza innata ha poco senso”.

 A prescindere dei fattori evoluzionistici o neurologici che sarebbero alla base dell’aggressione, sta di fatto che “biologico non significa, affatto, “inevitabile”. Persino le pulsioni di fame e di sesso possono essere dominate (digiuno, castità); nel caso dell’aggressione la nostra capacità di scelta è ancora più chiara.

Anche “se l’uomo fosse geneticamente predisposto a reagire con l’aggressione agli eventi spiacevoli – dice Berkowitz – potremmo lo stesso imparare a modificare e a controllare questa reazione”.

La cosiddetta “aggressione” di stato è una questione politica e non emotiva. (Harvard R. Lewontin )

J.J. Rousseau: “La guerra non è una relazione fra uomo e uomo, ma fra Stato e Stato, gli individui sono nemici accidentalmente”.

Perché allora la credenza di una natura umana violenta è così diffusa? 

In una società violenta è naturale che la tradizione di pensiero attribuisca l’aggressività( Freud – Lorenz )  alla natura biologica anziché all’apprendimento culturale. 

Dice Bernard Lown, copresidente della Lega Internazionale dei medici per la prevenzione della guerra nucleare (premio Nobel per la pace 1985):

“ Il comportamento dell’individuo, sia esso aggressivo o permissivo o passivo, non è il fattore che determina il suo atteggiamento verso il genocidio. Neppure una persona aggressiva è disposta ad accettare l’estinzione”.

“Per giustificare e accettare la guerra e per convincerci, abbiamo creato una psicologia che la dichiara inevitabile; ma è una razionalizzazione per accettare la guerra come un sistema adatto a risolvere i conflitti umani”.

Trattare come inevitabile un qualunque comportamento mette in moto una profezia autorealizzante.

Se partiamo dal presupposto che non possiamo non essere aggressivi abbiamo maggiori probabilità di agire in conformità fornendo le prove del nostro assunto di partenza.

“Noi viviamo in un’epoca, in cui accettare tutto ciò come inevitabile, non è più possibile senza andare incontro alla prospettiva molto concreta dell’estinzione della specie umana”.

(Lown)

*Laura Margherita Volante, sociologa