Il sogno di una bambina chiamata Malala
La vicenda di Malala, nata nella località pakistana di Mingora il 12 luglio 1997, si compie in una terra dilaniata da guerre fratricide, soffocata dall’odio, dalla violenza e dall’ignoranza. Una terra dove la morte è all’ordine del giorno, dove la donna, considerata inferiore all’uomo, deve obbedire al padre, al marito o al fratello, in quanto depositari dei valori, delle usanze, delle tradizioni familiari.
L’uomo è il vero padrone della famiglia e a lui deve obbedire la moglie, che ha il compito di badare alle faccende domestiche e accudire i figli. L’uomo può sposare fino a quattro donne, dalle quali può divorziare quando gli pare. La donna non ha il diritto di studiare, non può ascoltare la radio, vedere la televisione né leggere un giornale e deve accettare lo sposo scelto per lei dal padre. Questa tirannia deriva da una interpretazione errata del Corano, che “autorizza” a calpestare la libertà e la dignità della donna.
Malala, pur vivendo in un territorio oscurato dall’ingiustizia e travagliato dai pregiudizi, ha rifiutato di sottomettersi alla tirannia dell’uomo e si è coraggiosamente contrapposta alla spietatezza della sua società arretrata e violenta.
All’età di undici anni, è diventata celebre per il blog che curava per la BBC, nel quale documentava il regime dei talebani pakistani, contrari ai diritti delle donne, e la loro occupazione militare del distretto dello Swat. Ha così deciso di contrapporre al rombo delle armi la forza della parola, lottando per il riconoscimento dei diritti civili e del diritto all’istruzione, l’unica arma in grado di combattere l’ignoranza e di dissolvere le tenebre che avvolgevano da lunghi anni il suo paese.
Ha capito che per cambiare il futuro del Paese si deve partire dall’istruzione delle bambine, perché la donna è importante quanto l’uomo e può contribuire a trasformare la sua patria in una culla di luce, libertà e grande civiltà.
La risposta dei Talebani non si è fatta attendere: “Uccidete la disgraziata quindicenne. Fate tacere per sempre questa ragazza arrogante che ha osato infangare le nostre leggi. Infrangere i nostri insegnamenti è un grande peccato, perciò deve pagare con il sangue. Due colpi alla testa bastano!”
Il 9 ottobre 2012 alcuni fondamentalisti, saliti a bordo del pullman con cui lei tornava da scuola, le hanno sparato a sangue freddo, gridando: “Allah, Allah”. Ricoverata nell’ospedale militare di Peshawar, è sopravvissuta all’attentato dopo la rimozione chirurgica dei proiettili. Il portavoce dei talebani pakistani, Ihsanullah Ihsan, ha rivendicato l’infame attentato contro “il simbolo degli infedeli e dell’oscenità” La giovane ragazza è stata in seguito trasferita nell’ospedale di Birmingham, i cui medici si sono offerti di curarla.
Nonostante le continue minacce di morte, il 12 luglio 2013 Malala si è recata nel Palazzo di Vetro a New York, sede ufficiale dell’ONU, da dove ha lanciato un appello all’istruzione delle bambine e dei bambini di tutto il mondo senza distinzione di razza o di ceto.
Il 10 ottobre 2013 l’ex Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, le ha conferito il prestigioso Premio Sakharov, definendola una ragazza eroica e ricca di spirito.
Il 10 ottobre 2014, a diciassette anni, viene insignita del Premio Nobel per la pace “per la lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione”, diventando la più giovane vincitrice del prestigioso riconoscimento.
Malala ha lasciato al mondo intero questi preziosi insegnamenti: “Non mi importa di dovermi sedere sul pavimento a scuola. Tutto ciò che voglio è istruzione. E non ho paura di nessuno…”
Oggi, Malala vive con la famiglia a Birmingham, la città che l’ha accolta quando aveva bisogno di cure proteggendola dai talebani, incapaci di frenare questo suo entusiasmo per l’istruzione e la libertà. Hanno continuato a minacciarla perché sanno che le sue idee creeranno nuovi medici, ingegneri, architetti, giudici e insegnanti, una classe di intellettuali capace di rovesciare i potenti, gli spietati e gli infami che basano la loro forza sulla sottomissione.
*Hafez Haidar, scrittore, critico e intellettuale libanese naturalizzato italiano, candidato al Premio Nobel per la pace nel 2017 e quest’anno candidato al Premio Nobel per la letteratura 2028