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Milo e i suoi mulini

Racconti milesi di Paolo Sessa

Salendo da  Giarre e da Zafferana, all’ingresso sud-est della cittadina etnea di Milo, dove le conformazione del terreno presenta un rapida discesa dall’alto ,tanti anni fa, come si legge nella pergamena del 1391, quando l’aragonese Manfredi Alagona, barone di Vizzini, Scordia e Francofonte, figlio di Blasco II, conte di Mistretta  e fratello minore di Artale, autorizzò Simone di Miroponte  ad assumere la gestione del priorato di “l’acqua di lu Milu”, sorgevano dei mulini ad acqua, a ruota orizzontale che, per  l’abbondante portata del torrente Nespola, assicuravano un efficiente servizio per la molitura del grano, dell’orzo e della segala. 

Del primo mulino di Milo non rimane nulla, essendo state costruite nel tempo casa di civile abitazione e la tradizione orale ricorda una grande gebbia, in prossimità dell’attuale biblioteca comunale, dalla quale partiva una saja che consentiva la discesa dell’acqua verso il secondo mulino, che nel 2015 è stato “scoperto” e valorizzato, come sito storico, in attesa di ulteriore ampliamento espositivo.

Qui c’è il cuore, il volto, la storia e l’identità di Milo”, afferma con convinta passione, il prof. Paolo Sessa, attento cultore della storia locale, diligente ricercatore delle cose vere, autore del volume “Mistero al multino e altre storie milesi”, Algra editore, presentato nell’ambito del ricco programma dell’estate di Milo 2024.

La dettagliata descrizione dei luoghi, le operazioni compiute da Andrea, il mulinaro, documentano le caratteristiche del mulino ad acqua, conosciuti in epoca romana e molto diffusi nei territori fino all’alto Medioevo ed ora grazie ad una tenace opera di recupero e di valorizzazione,  restituiti alla memoria della popolazione.

Le terre di Milo, appunto, di pertinenza del Priorato benedettino e governate dal Vescovo di Catania, Conte di Mascali, erano fonte di guadagno e di sussistenza del monastero, attorno al quale prese vita la comunità dei contadini e vignaioli.

L’autore, con abile maestria, colloca i racconti, coloriti di pennellature descrittive del paesaggio, dei numerosi personaggi, che sembrano rivivere nelle pagine dei racconti con le loro bizzarrie, proverbi, aneddoti, quasi la scena di un film che presenta attori protagonisti e abili costruttori di futuro. L’arciprete, Mons Fichera, è sempre presente tra le vie del Paese, che richiama anche  attori e personaggi famosi, e nelle storie delle famiglie, con i drammi dei figli che si sposano, o emigrano, o si fanno suore o preti. 

Nei 18 racconti del volume, appare come in un film la storia del comune di Milo, con i suoi quartieri: Fornazzo, Nespola, Piano Llera, (Rinazzo), Praino, Volpati: “qui la gente vive all’antica, lavora, fa figli e va a messa la domenica,”  e il paese “respira calmo il silenzio del cielo stellato”.

Vengono scandite le tappe di sviluppo sociale: l’arrivo del primo medico nel 1904; della luce elettrica nel 1928, la costruzione della chiesa di Fornazzo nel 1932; la prima farmacia  nel 1957 e  il tutto è colorito dai racconti dei caratteristici personaggi: don Peppino, don Vito, don Paolino, don Ciccino , Lunardo,  i quali hanno fatto la storia del Paese,  raccontata e inghirlandata da citazioni bibliche, preghiere e salmi, segno palpitante della religiosità popolare del borgo, nei primi anni del dopoguerra.

L’armonica descrizione dei luoghi, del paesaggio, le immagini poetiche che le parole evocano, rendono preziosa l’antologia delle storie milesi, ricche di tanti insegnamenti, come l’ultimo racconto, nel quale il vecchio leccio rimprovera i cittadini per il degrado della spazzatura, che non consente alle margherite di fiorire. Splendida lezione di ecologia e messaggio educativo per il rispetto della natura e la custodia del creato. 

Il volume documenta l’attaccamento profondo per il Paese che l’Autore ha testimoniato nella diligente ricerca di storie locali e personaggi, consegnati alle nuove generazioni come dono e preziosa eredità di virtù e di valori.

*Giuseppe Adernò, giornalista

Giuseppe Adernò