1° luglio 1997 ora X. Hong Kong ieri e oggi
Il tracollo della democrazia nell’indifferenza dell’Occidente
Lo si era subito compreso quale sarebbe stato il destino di Hong Kong dopo il fatidico 1 luglio 1997 che sancì il trasferimento della sua sovranità da Londra a Pechino, chiudendo ufficialmente i 156 anni di dominio coloniale britannico. Hong Kong prima o dopo, avrebbe dovuto fare i conti con i metodi di un regime dal dna avverso alla libertà individuale.
Allo scoppio della pandemia emersa nel mondo per prima a Hong Kong lo scorso gennaio 2020, è apparso come il Covid-19 e le punitive misure adottate per sconfiggerlo siano state il pretesto per contrastare le forme di protesta e di opposizione alla introduzione di una nuova legislazione fortemente lesiva dei diritti fondamentali.
Nell’ultimo anno i vertici del Partito Comunista Cinese hanno influenzato il governo locale di Hong Kong inducendolo a recepire la legge sulle “minacce alla sicurezza nazionale”. Provvedimento controverso e gravoso approvato all’unanimità dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, espressione del Presidente XI Jinping promotore di pesanti limitazioni alle libertà democratiche e polverizzanti di “un Paese, due sistemi”, dal 1997 principio significante del regime di autonomia riconosciuto dal protocollo storicamente noto come “passaggio di consegne” alla regione amministrativa speciale (SAR) di Hong Kong con un alto livello di autonomia in Cina.
E’ uno storico passaggio nel miglioramento del meccanismo di tutela della sovranità, dell’integrità e della sicurezza del Paese’’ ebbe a dire la Chief executive di Hong Kong Carrie Lam al 23esimo avversario del ritorno dei territorio sotto la sovranità cinese, parlando della legge varata da Pechino per Hong Kong, alle ore 23:00 del 30 giugno 2020, ovvero a 23 anni esatti dal ritorno dei territori sotto la sovranità cinese.
La capa dell’esecutivo Lam, durante la cerimonia dell’alzabandiera all’Hong Kong Convenetion and Exhibition Center di Van Chai, spiegò pure che l’alto livello di indipendenza giudiziaria non sarebbero stati intaccati, salvo poi aggiungere, quanto il nuovo provvedimento ufficialmente chiamato legge della Repubblica popolare cinese sulla salvaguardia della sicurezza nazionale nella regione amministrativa speciale di Hong Kong fosse una inevitabile e pronta decisione per ristabilire l’ordine e la stabilità nella società’ nell’ex colonia britannica.
Ma proprio il giorno dopo, l’1 luglio scorso, la polizia di Hong Kong non perdeva tempo a perseguire atti considerati sovversivi, secessionistici e terroristici. A Causeway Bay nella stessa data, secondo la nuova legge sono stati tratti in arresto, manifestanti in possesso della bandiera della Hong Kong indipendente.
La forte combattente, appellativo attribuito a Carrie Lam, soprattutto per aver curato lo smantellamento nel 2008 del Queen’s Pier (Il molo della Regina), costruito nel 1925 in onore della Regina Victoria di fronte al municipio di Edinburgh Place, per 83 anni sbarco cerimoniale riservato alla famiglia reale britannica in visita a Hong Kong.
Oggi a Hong Kong tutto quel che appartiene al passato è destinato a sparire. Spariscono simboli e soprattutto le libertà. Il governo in un messaggio inquietante oltre a chiarire che manifestazioni e proteste avrebbero incrociato la brutalità delle forze dell’ordine, come accaduto altre volte nei sit-in e cortei durante l’anno, dichiara di aver accettato il controllo di alcuni rappresentanti di Pechino. Il 24 aprile 2020 la polizia ha arrestato oltre quindici difensori della libertà di Hong Kong. Tra i prigionieri anche l’editore Jimmy Lai di 71 anni e gli avvocati Margaret Ng 72 anni e il battagliero Martin Lee 81 anni, leader del partito democratico che nella notte del 30 giugno e l’1 luglio 1997 da un balcone gridò “siamo fieri di esser parte della Cina, vogliamo che la Cina abbia più democrazia”.
Scompaiono anche gli account dei principali web company, da Facebook, Apple ad Istagram, Amazon e Twitter. I colossi digitali per i quali Hong Kong ha rappresentato un importante piazza, hanno sospeso al momento le forniture di dati, in attesa di esaminare meglio la legge che all’art. 43 tra le altre restrizioni prevede: i fornitori di servizi Internet sono obbligati a soddisfare le richieste di informazioni provenienti dalle autorità a prescindere dalla presenza o meno di un ordine del Tribunale; le forze di polizia stabiliscono cosa censurare, eliminare o condividere nel web. Timori anche dalla popolazione locale che ai loro contatti chiedono di cancellare le chat su WhatsApp.
Le alterne vicende di Hong Kong sono scandite dalla formale cessione della corona inglese all’impero cinese, ai sensi della Convenzione di Chuenpee stipulata fra l’Impero britannico e l’Impero dei Qing seguita dalla firma del Trattato di Nanchino del 29 agosto 1842 che, segnò la fine della prima guerra dell’oppio, quando la città passò in cessione perpetua al Regno Unito. Una storia intessuta da rivincite storiche sulle sconfitte del passato rivendicate dalla Cina e soddisfatte dal negoziato del 1983 -’84. Un compromesso che stabiliva il ritorno di Hong Kong alla Cina nel 1997 e la ratifica della Basic law secondo cui fino al 2047 la Cina si impegnava a mantenere per i successivi 50 anni lo status speciale che Hong Kong aveva sotto la corona britannica. Una vittoria geopolitica irrinunciabile per la Repubblica Popolare cinese.
Dubbi e preoccupazioni sul mantenimento delle garanzie aleggiarono presto nello scenario politico-internazionale. Nel ’90 al tempo dell’approvazione della legge fondamentale della Regione amministrativa speciale di Hong Kong della Repubblica popolare cinese, ad un anno dall’eccidio degli studenti e cittadini di Pechino in protesta nella piazza Tienanmen, la premier britannica Margaret Thatcher espresse serie preoccupazioni sul ritorno di Hong Kong sotto la sovranità cinese che, sarebbe dovuta avvenire nel 1997.
Timori e preoccupazioni più che fondati. Nell’ultimo quindicennio Hong Kong ha perseverato nel chiedere come dove essere governata e da chi. Non concepibile certamente, dal partito comunista cinese che una delle proprie aree potesse avere solo avere un’idea in proposito. Fino allo scorso giugno la giustizia di Hong Kong da ex colonia britannica, seguiva l’ordinamento giuridico del regno Unito, cioè la common law, adesso con l’introduzione della nuova legge la situazione è devastante. Un ribaltamento culturale di stampo socialista cinese. Ambiguità e vaghezza imperano nelle indicazioni del nuovo provvedimento difforme dai principi storici di democrazia cui era abituata Hong Kong oltre ad un regime speciale di capitalismo e common law.
Un regime galoppante verso un autoritarismo sfrenato dinnanzi all’indifferenza dell’Occidente. Al di là dell’immediato riflesso di indignazione rispetto alla legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino a Hong Kong, emerge nettamente l’assenza di un’azione concreta della Comunità internazionale. Solo tiepidi interventi privi di vero coinvolgimento che non mirano a stabilire un punto fermo sulla questione per cui è chiaro, gli occidentali poco o nulla stanno facendo.
I legami con la Cina sono divenuti sempre più privilegiati e chi fa affari sulla nuova via della seta con la moderna potenza, non rischierebbe certo di indebolire i propri rapporti con Pechino divenuta intoccabile in virtù della sua espansione economica degli ultimi anni. Il futuro di Hong Kong già abbondantemente compromesso conta nulla, rispetto agli interessi economici in ballo per i quali i paesi occidentali non sono disposti ad esporsi e soprattutto a sacrificare le loro mire finanziarie.
Ad inquietare, anche il silenzio dell’Onu cui Pechino è membro permanente del Consiglio di sicurezza. D’altra parte la Cina non consentirebbe mai che dalle Nazioni Unite venisse approvata una sanzione di condanna in materia di violazione di diritti umani malgrado il trattato britannico su Hong Kong sia stato depositato all’Onu.
Non importa se Hong kong ineludibilmente si aggiunge ai territori schiacciati dal forte autoritarismo della Repubblica Popolare cinese, la contropartita politico-economica in gioco è troppo alta, l’Occidente con buona pace di proclami e campagne etiche a difesa dei diritti umani inviolabili, non sognerebbe neppure lontanamente di perdere la corsa agli investimenti più spudorata della storia.
Come si presentava al mondo Hong Kong, allo scattare dell’ora X di quel fatidico 1 luglio 1997? Cercheremo di raccontarlo brevemente attraverso l’abstract di un nostro articolo tratto dal giornale stampato ‘’L’Eco del Sud – Messina sera’’ edito e diretto da Carmelo Garofalo, pubblicato il 20 luglio 1997 a pochi giorni da quella data storica.
Hong Kong: la fine di un Impero? Il primo luglio, ha forse segnato la fine di un’epoca di un mondo irripetibile. Hong Kong territorio orientale cinese sede di un capitalismo sfrenato, dove in pochi chilometri quadrati insiste la maggiore concentrazione di banche, soldi sporchi e puliti, bordelli e malavita, vita notturna, puttane e casinò legali e illegali, luci e grattacieli. Simbolo dell’ostentazione più esasperata più volgare della ricchezza, Kong Kong ha rappresentato un Eden per accumulare fortune inimmaginabili denaro su denaro e dove vivere fiabescamente. […] Nei giorni immediatamente precedenti il passaggio dell’ex colonia britannica alla Cina, ci si chiedeva pressantemente se Pechino avesse rispettato gli accordi del trattato dell’84 con la Gran Bretagna, se il riconoscimento dei diritti socio-politico-culturali sarebbe stato mantenuto fino al 2047. Un interrogativo inquietante che in campo internazionale ha suscitato non poche perplessità sulle posizioni che la Cina avrebbe assunto nei confronti di Hong Kong. La notte tra il 30 giugno e il primo luglio scossa da un temporale tropicale, quasi a sottolineare nell’animo incupito dei partecipanti a Statue Square, la fine di un’era durata 156 anni. [..] Prima dell’arrivo degli autocarri blindati cinesi e il sorvolamento degli aerei, Martin Lee leader del Partito democratico, da un balcone urla: “siamo fieri di esser parte della Cina, vogliamo che la Cina abbia più democrazia’’.
Nelle strade semideserte sfilano i militari, spettatori di se stessi. A bordo del panfilo reale britannico, il principe Carlo e il governatore Cris Patten hanno già ripreso il mare lasciando il posto alla nuova era e al nuovo potere appena insediato e già pronto ad un giro di vite dei diritti civili. E’ questa è la prima risposta all’interrogativo inquietante di qualche giorno fa. Ci chiediamo quali saranno le altre??!!! Per l’aurea Hong Kong protagonista dell’alta finanza, quale sarà il futuro economico, cosa accadrà?
Nel passaggio ad un regime autoritario, riuscirà Kong Kong sull’onda del discorso dell’avvocato Martin Lee, a rimanere la preziosa gemma commerciale e liberista nel mantenimento dei principi di democrazia?
*Mimma Cucinotta, direttore responsabile Paese Italia Press