I sognatori non muoiono mai. Mauro Rostagno e Peppino Impastato nell’opera di Gaetano Porcasi
Gaetano Porcasi, artista di Partinico in provincia di Palermo, la sua arte non è mai retorica, ma comunicazione semplice, immediatamente percepibile, divulgativa che mira a rendere condivisi il rispetto, la riconoscenza e l’esaltazione eroica dei leader politici e sindacali protagonisti di battaglie sociali e, contemporaneamente, l’orrore ed il disprezzo per la violenza, la barbarie e la contiguità verso la criminalità organizzata, la cultura dell’illecito e del malaffare. Com’è nata la voglia di riportare su tela parte della storia turbolenta della sua regione?
Fin da ragazzo, di tanto in tanto, sentivo parlare di mafia e ricordo che provavo fastidio nel sentire parlare di violenza, di intimidazioni, di aggressioni e, qualche volta, anche di omicidi. Ritengo che nella vita di tutti ci siano fatti che colpiscono e che lasciano il segno. Per me, uno degli eventi più significativi della mia vita fu l’incontro col capitano dei Carabinieri, Mario D’aleo. Frequentavo l’Istituto d’arte di Monreale e lui veniva spesso a scuola a trovare il mio preside con cui era legato da un rapporto di stretta amicizia. Io guardavo quell’uomo in divisa e rimanevo affascinato a guardarlo: tanti pensieri passavano per la mia mente. Forse il suo lavoro in una terra così disastrata non doveva essere molto semplice, ma sicuramente era prezioso per tutti perché garantiva un minimo di legalità e di equilibrio. Toccai il cielo con un dito quando un giorno il capitano D’aleo si avvicino a me che lo guardavo con ammirazione e mi chiese: cosa vuoi fare da grande al termine dei tuoi studi? Risposi che mi sarebbe piaciuto continuare a studiare arte e frequentare l’Accademia delle Belle Arti. Non lo vidi più! In seguito seppi che era stato ucciso in un agguato mafioso.
Fin dalle scuole medie facevo parte di un gruppo di lavoro che confezionava un giornale. A me piaceva disegnare storie di mafia e immaginare le scene in cui si erano svolti eventi delittuosi. Finiti gli studi andai ad insegnare in Sardegna. Furono anni terribili segnati da una serie di omicidi eccellenti. Nel 1992 vennero uccisi Falcone e Borsellino. Le stragi di mafia sembrarono toccare il culmine dell’onnipotenza. Era un susseguirsi di atti criminosi senza che nessuno riuscisse a porvi rimedio. Forse, fu in quel periodo che cominciai a maturare l’idea che bisognava fare qualcosa. La violenza, la prepotenza, il delirio che esprimevano tanti personaggi di malaffare mi dava fastidio e mi provocava un senso di ribellione. Ma io non avevo né mezzi né ruoli per potere fare qualcosa. Io sapevo solo dipingere. In Sardegna alcuni murales di denuncia mi fornirono l’idea giusta per fare la mia parte. Approfondii e studiai la pittura russa e quella messicana che avevano aperto il filone significativo della pittura di denuncia e di stimolo a segnalare i mali sociali alle masse per far sentire la necessità di rimuoverli e superarli.
Credo di avere reso omaggio e additato alle masse tutte le vittime innocenti colpite dalla mafia, le lacrime versate da figli e mogli a cui è stato soppresso il loro caro. Uno spazio particolare hanno avuto le stragi di Falcone e Borsellino. A poco a poco mi sono reso conto di avere un seguito: tanti mi conoscono, spesso mi chiamano a realizzare mostre su temi specifici, credo che la mia pittura incida nella didattica finalizzata a promuovere legalità, a ricordare gli eroi simboli del nostro tempo. In un periodo in cui valori e modelli di vita corretti diventano sempre più rari, la memoria di personaggi modello della storia fornisce un contributo etico di grande rilevanza. Quando ho iniziato non mi sarei mai aspettato che la mia potesse diventare una pittura nazionale, una bandiera forte, un tricolore sporco di sangue. Oggi posso dire che davvero ero inconsapevole di tutto quello che sarebbe diventato.
Quali i punti riferimento? I miei punti di riferimento sono stati sempre la Polizia ed i Carabinieri che mi hanno da sempre considerato un prezioso collaboratore con i pennelli. Ho fatto mostre ovunque in qualsiasi angolo dell’Italia, ho incontrato tantissimi studenti, ho pubblicato parecchi libri, ho collaborato con tanti storici. Vi posso dire che più studiavo più mi rendevo conto che quello che facciamo è sempre poco, anzi nulla, perché il lavoro da fare è tantissimo. Spesso ho avuto negata la possibilità di esporre le mie opere anche da parte della politica apparentemente anti-mafiosa ma, in realtà, corrotta. Perfino una certa antimafia di facciata ha cercato di tagliarmi le gambe perché davo fastidio. Alla fine, l’antimafia è diventata per qualcuno un palcoscenico su cui recitare e mostrarsi quello che non si è. Ricordo che un mio dipinto dal titolo il giocattolo dell’antimafia ha destato scomposte reazioni e hanno cercato perfino di distruggermi mediaticamente definendomi pittore da strapazzo.
Mauro Rostagno e Peppino Impastato, due giovani vittime cadute nella lotta contro la mafia. Due simboli generati da mondi diversi e lontani, il Piemonte e la Sicilia, ma un unico comune percorso di vita e un unico ideale, quello generato dall’aspirazione a ripulire il mondo dalle forze del male, dalla sopraffazione, dalla illegalità, dal malaffare, dai condizionamenti sociali, dalle imposizioni di un sistema malavitoso di prepotenza, di violenza e d’ingiustizia, ha dichiarato. La cover di questo numero è impreziosita proprio dal suo olio su tela, magnetico e ricco di significati, che oggi si trova nella casa confiscata al boss Bernardo Provenzano, dove è nato il museo “Laboratorio della legalità” con circa 63 opere. Cosa raccontano queste opere e cosa rappresenta questo museo nel territorio di Corleone? Sono tele che ritraggono e narrano la storia dei morti di mafia, dai sindacalisti alle vittime innocenti uccise perché avevano visto o perché erano stata confuse con altre. Le tele mettono in mostra la crudeltà e l’efferatezza di operazioni disumane e scellerate che non tengono conto della vita, dei sentimenti, dei valoro, ma solo le necessità di un potere balordo e belluino. Di certo la pittura antimafia esiste, a Corleone sono riuscito a fare nascere un museo con 63 opere esposte nella casa confiscata al super boss Provenzano, dando vita a quello che è denominato Laboratorio della legalità. A Spello in Umbria è stata allestita un’altra pinacoteca. Nella casa di Paolo Borsellino sono presenti alcune mie tele, altre sono esposte presso la Scuola di alta formazione per prefetti al Ministero degli Interni. Quando è stato catturato Provenzano ho realizzato una trilogia, opere ad olio su tela che ho donato alla Questura di Palermo. Altre tele si trovano presso il comando carabinieri di Monreale in memoria dei capitani uccisi. Con orgoglio posso dire che le mie tele sono esposte anche presso il Museo nazionale dell’Arma dei Carabinieri di Roma. Insomma una continua battaglia portata avanti con i pennelli, mettendoci la faccia contro l’inquinamento in Sicilia. Sono stato in giro per l’Italia, raccontando le mie esperienze.
Chi erano Mauro Rostagno e Peppino Impastato? Due eroici sognatori che hanno pagato con la vita l’aspirazione ad un mondo più giusto e rispettoso della dignità degli uomini. Due indomabili lottatori che non si sono fermati davanti allo strapotere di un sistema marcio e colluso. Due eroi che hanno immolato le loro vite nella realizzazione di un sogno.
Porcasi, dal punto di vista artistico, come ha voluto celebrare Mauro Rostagno e Peppino Impastato? Li ho raffigurati in un’unica tela in cui, oltre agli eroi simboli, spiccano alcuni significativi dettagli. In primo piano Peppino, raffigurato in una postura pensierosa e preoccupata, quasi a voler significare una certa delusione verso chi non si ribella e rimane passivo di fronte alle ingiustizie quotidiane o verso chi specula sul sacrificio dei giusti per finalità di bottega. In alto, campeggia il volto di Mauro Rostagno con un contorno di simboli dei luoghi e dell’attività svolta: i mulini delle saline di Nubia, simbolo di Trapani, la telecamera che ricorda il suo ruolo di giornalista e la dicitura “abbiamo trasmesso” quasi a ricordare le modalità con cui si è chiusa la vita dei due giovani eroi. Al centro del dipinto ci sono poi due elementi che rappresentano con semplicità e chiarezza il mio punto di vista: il bambino con la bandiera bianca che attraversa il campo di grano e la bandiera italiana. Il bambino e la bandiera bianca esprimono senza mezzi termini l’aspirazione alla pace, alla vita semplice e al compimento dei cicli della natura. La bandiera italiana palesa l’aspirazione a vedere affermati i principi scolpiti nella Costituzione e l’applicazione della legge, unica condizione per creare un mondo di giustizia e di pace.
Secondo Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, che ho avuto modo di intervistare pochi mesi dopo l’arrivo della pandemia, le associazioni a delinquere di stampo mafioso stanno traendo molti vantaggi dall’emergenza Covid-19, la crisi economica che sta colpendo il Paese è una ghiotta occasione di illecito arricchimento per le mafie. Cosa ne pensa al riguardo? Vede oggi in Sicilia e nel nostro Paese figure così carismatiche come quella di Mauro Rostagno e Peppino Impastato?
Negli ultimi anni il campo dell’impegno civile va diventando sempre più sparuto. Forse per l’impossibilità di potere incidere o di potere raggiungere un qualche risultato. Per fortuna, c’è una buona rappresentanza di militanti storici che portano avanti le loro battaglie con serietà ed impegno. Credo che con il cattivo esempio delle Istituzioni, con la Giustizia allo sfascio, con la corruzione e gli egoismi trionfanti, ci si possa sentire troppo soli per combattere contro le porcherie del nostro tempo.
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Gaetano Porcasi è nato a Partinico (PA) nel 1965. Fin da piccolo ha manifestato uno straordinario ed innato talento artistico che ha arricchito, modellato e sviluppato frequentando, prima, l’Istituto d’Arte di Monreale e, successivamente, l’Accademia di Belle Arti di Palermo, dove ha conseguito la laurea col massimo dei voti. Ultimati gli studi Gaetano Porcasi ha iniziato la sua carriera di docente presso l’Istituto Statale d’Arte di Sassari, poi presso il Liceo artistico di Tempio Pausania e presso l’Istituto Statale d’Arte di Alghero. Tornato in Sicilia ha ottenuto la cattedra di discipline pittoriche presso l’Istituto Statale d’Arte di Monreale e, finalmente, presso il Liceo scientifico “Santi Savarino” di Partinico dove contribuisce incisivamente nella realizzazione di percorsi didattici che promuovono nei giovani cultura, legalità e impegno civile.
La maturazione artistica di Gaetano Porcasi si è sviluppata attraverso una profonda ricerca di una dimensione personale che gli offrisse la possibilità di conciliare contemporaneamente il suo talento artistico, la sua verve espressiva, la sua fantasia creativa, col suo impegno civile, con le sue aspirazioni culturali, con la sua voglia di rappresentare e raccontare la complessa contraddittorietà della sua terra, di esprimere la sua irrevocabile condanna nei confronti dei mali sociali endemici che la ammorbano e la condizionano, di valorizzare il riscatto sociale e le grandi figure che lo hanno promosso o lo promuovono. Ben presto Gaetano Porcasi ha raggiunto un’identità ed una maturazione artistica dosando ed amalgamando, con apprezzabile equilibrio e saggezza, il suo estro e la sua fantasia con il complesso substrato interiore che lo ha sempre stimolato ad offrire contributi artistici in un dibattito culturale che lo ha sempre affascinato. Per tali motivi ogni opera di Porcasi è un frammento di un percorso culturale e civile riconducibile interamente alla stessa matrice: la voglia di raccontare il variegato volto di una terra in cui emerge lo stridente contrasto tra la violenza, la barbarie di pochi miserabili individui, l’insensibilità e la stoltezza di tanti politici collusi e corrotti, da un lato, ed una natura affascinante, stupenda, mitica, misteriosa e complessa, abitata da un popolo generoso e semplice, intrappolato in un perenne vassallaggio. Fra gli aspetti artistici più elevati e nobili della produzione di Gaetano Porcasi emergono la rappresentazione della saga e dell’epopea eroica di quanti hanno immolato la loro vita per l’affermazione del bene comune, della solidarietà, della legalità, della emancipazione degli umili e degli emarginati, ma anche la rappresentazione di una terra generosa, rigogliosa, esagerata, prorompente, luminosa, del lavoro dei campi, della fatica, del sudore, della sofferenza di chi ha subito violenza, delle ferite provocate all’ambiente, dell’infanzia e della vecchiaia, della multietnicità ed dei protagonisti del nostro tempo. Si tratta di un eterogeneo e complesso mondo espressivo in cui ogni pezzo è tassello di una unica dinamica culturale che muove dall’aspirazione di Gaetano Porcasi ad emancipare la pittura fino a renderla messaggio sociale ed impegno civile
L’arte di Gaetano Porcasi non è mai retorica, ma comunicazione semplice, immediatamente percepibile, divulgativa che mira a rendere condivisi il rispetto, la riconoscenza e l’esaltazione eroica dei leader politici e sindacali protagonisti di battaglie sociali e, contemporaneamente, l’orrore ed il disprezzo per la violenza, la barbarie, l’ignavia, il torpore, la collusione e la contiguità verso la criminalità organizzata, la cultura dell’illecito e del malaffare. Nel rappresentare la natura, il lavoro, la sua terra l’arte di Porcasi diventa poesia, sinfonia di colori, armonia di tonalità che esaltano l’effetto estetico coinvolgendo ed affascinando anche il più distratto dei suoi osservatori. Gaetano Porcasi, infine, utilizza una complessa simbologia, che, tuttavia, risulta sempre di facile ed immediata lettura e comprensione, si tratta di espedienti metaforici che gli consentono di integrare l’aspetto palese delle immagini con messaggi allusivi che integrano la scena e forniscono una nota aggiuntiva; i giornali e le testate giornalistiche che pervadono lo scenario che racconta le vittime di mafia o i feroci assassini, è la metafora di ciò che convenzionalmente viene più pubblicizzato della Sicilia e va a finire sui giornali, al contrario, la produzione artistica che ritrae la natura, il mare, la vita dei campi, gli ulivi millenari, le agavi, i nespoli, i limoni, i paesaggi tipici della campagna siciliana, i gruppi umani in cammino, i grandi eventi delle lotte sindacali, diventano limpide rappresentazioni di un mondo che è l’unico che Gaetano Porcasi vorrebbe far conoscere e divulgare: è la Sicilia che non fa notizia. Assai frequenti sono dettagli architettonici, l’azzurro delle pareti, gli scorci delle vecchie case, le terracotte stagnate della numerazione civica delle abitazioni, che il pittore estrae dalla memoria della sua infanzia e che utilizza per fornire le date di fatti o misfatti che rappresenta.
*Roberto Sciarrone, direttore responsabile di Verbum Press